La ricerca di materiali sempre innovativi è la molla che anima molti costruttori. Siamo passati dalle hackle genetiche al Cul de Canard, delle zampe di coniglio artico (snowshoe rabbit) alle fibre tri, tetra e pentalobate e ad altre diavolerie che promettono meraviglie nel convincere pesci sempre più educati ed esigenti.
Alcuni mesi orsono, un amico norvegese sempre molto attento alle novità mi parla delle meraviglie del pelo di opossum (o “possum” come lo definiscono gli australiani ed i neozelandesi): me lo descrive come molto galleggiante ed in grado di sostenere una mosca anche quanto usato in quantità davvero ridotte.
Cosa di meglio per le nostre trote e temoli, abituati a rifiutare con magistrale abilità ogni artificiale che presenti più degli usuali tre o quattro peli?
L’amico mi fa arrivare una intera pelle di possum (che penso potrò utilizzare per le prossime cinque generazioni) e la sperimentazione inizia.
La prima prova consiste nel costruire alcune mosche da “hitch” per la pesca al salmone: non riesco ad agganciarne nessuno, ma la galleggiabilità è davvero interessante. Provo con qualche collare di mosca secca e rimango davvero soddisfatto: è proprio vero che sono necessarie davvero poche fibre per far restare a galla una mosca di media dimensione.
Sulla rete si trovano mosche costruite con fibra di possum ed utilizzate prevalentemente in Nuova Zelanda: la fibra viene usata come fosse CdC nella realizzazione di mosche shuttlecock, ovvero emergenti con sacca ed ala frontale che costringono la mosca a galleggiare in verticale.
Proviamo a fare qualche variante ed utilizziamo il pelo in asola in mosche molto semplici ed eteree che siamo convinti possano fare la differenza nelle prossime uscite.
L’unico difetto del pelo di possum è rappresentato dal fatto che è davvero molto fine e risulta quindi difficile utilizzarlo della lunghezza adatta, specie su ami da secca di taglia 12 – 16 o più piccoli. Poco male, teniamo le fibre più lunghe, alla moda “variant”, appunto.